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    Vaginiti e cistiti costituiscono un problema di salute pesante per la donna e la coppia.

    Costituiscono fino al 30% della richiesta di consultazione ginecologica e di urologia femminile.

    “Cistite” indica la presenza di infezione e/o infiammazione della vescica e dell’uretra, accompagnata da sintomi urinari.

    L’infezione è accertata quando la presenza di batteri in numero significativo (convenzionalmente superiore a 100.000 unità di batteri formanti colonia) è dimostrata mediante esame delle urine con urinocoltura.

    L’infiammazione può essere presente anche senza batteri in numero significativo: può avere origine meccanica (da trauma coitale), fisica (da freddo), da raggi (post radioterapia), chimica (post chemioterapia). I sintomi classici di cistite includono:

    • Aumento della frequenza delle minzioni: più di 7 minzioni al dì, ossia nelle ore diurne (pollachiuria).
    • Dolore e senso di peso sovrapubico.
    • Bruciore alla minzione, che peraltro presenta grande variabilità sia da soggetto a soggetto, sia da un episodio cistitico all’altro.

    La recidività di vaginiti e cistiti è causa non solo di esacerbazione dei sintomi specifici, ma anche di crescenti e costose comorbilità.

    E’ quindi necessario un approccio innovativo e, tra le opzioni perseguibili, una delle più promettenti riguarda lo studio dei biofilm in ginecologia e urologia, la cui conoscenza va integrata con una visione diagnostica e terapeutica multidisciplinare.

    Studi preliminari suggeriscono infatti che conoscenza e intervento sui biofilm possano essere una via più valida ed efficace, rispetto all’antibiotico terapia, dimostratasi perdente nel lungo termine.

    I biofilm rappresentano comunità strutturate di cellule batteriche spesso di specie diverse, anche di natura fungina, racchiuse in una matrice polimerica autoprodotta ed adesa ad una superficie inerte o vivente.

    Nell’ambiente vaginale, in condizioni fisiologiche e in età fertile, il 90% della flora microbica abitualmente presente in simbiosi mutualistica con l’ospite è rappresentato da lattobacilli che possono organizzarsi in biofilm fisiologici e rappresentare l’aspetto caratterizzante sano dell’ecosistema vaginale, mentre il restante 10% è costituito da batteri saprofiti.

    Nello squilibrio di questa flora microbica residente si collocano le infezioni ricorrenti uro-ginecologiche che costituiscono un serio problema medico in quanto, attualmente, non esistono terapie efficaci.

    La dimostrazione che tutte le infezioni uro-ginecologiche sono sostenute da biofilm patogeni spiegherebbe l’assente o incompleta risposta ai farmaci e l’alta presenza di forme morbose recidivanti uro-ginecologiche antibiotico resistenti, insensibili agli effettori della risposta immune e tendenti alla cronicizzazione.

    I biofilm patogeni presentano due localizzazioni principali: extracellulare e intracellulare.

    In prossimità del vestibolo vaginale, e lungo tutta la parete vaginale, si possono instaurare soprattutto biofilm extracellulari, cioè posti alla superficie delle cellule che rivestono la parete della vagina e aggettano quindi verso la cavità.

    Lo stesso avviene per i biofilm che rivestono la cute vulvare, i quali aderiscono da un lato ai cheratinociti cutanei e si sviluppano poi verso l’esterno.

    La struttura dei biofilm extracellulari è costituita da una matrice esopolisaccaridica nella quale sono scavati minuscoli canali d’acqua che si uniscono fra loro, formando una sorta di sistema circolatorio primitivo. Essi possono organizzarsi sulla superficie di differenti mucose o di supporti inerti, quali i dispositivi medici.

    In ginecologia, sono di particolare interesse i biofilm che compaiono sulla superficie di dispositivi medici, quali anelli contraccettivi vaginali, pessari, dispositivi intrauterini, impianti sottocutanei, cateteri.

    I biofilm, sia a sviluppo sopramucoso, sia su supporto inerte, stanno assumendo un’importanza rilevante in molte infezioni croniche e da impianti biomedici, a carattere recidivante. Infatti, l’involucro polisaccaridico, secreto dai microrganismi patogeni, agisce come un sistema di protezione (simile ai reticolati per le trincee di guerra) che si oppone alla penetrazione dei farmaci e agli effettori della risposta immunitaria.

    Nella parte più profonda del biofilm è inoltre presente una sottopopolazione (0,1-1%) di cellule batteriche quiescenti denominate persister cells, completamente resistenti agli antibiotici e alle difese immunitarie, generatesi per carenza di ossigeno e di nutrienti nelle zone più lontane dalla superficie del biofilm e pronte a ripristinare la carica batterica preesistente una volta completata la terapia antibiotica e/o quando vi sia una riduzione della competenza immunitaria del soggetto.

    La resistenza agli antibiotici delle persister cells è dovuta alla strategia di queste cellule dormienti che  assumono uno stato di bassa attività metabolica; mostrano un’aumentata resistenza alle difese immunitarie dell’ospite e spesso anche alla terapia antibiotica, sia perché meccanicamente più protette, e quindi meno raggiungibili dagli stessi, sia perché la limitatissima attività metabolica, simile a una sorta di quiescenza,  le rende meno vulnerabili anche ai princìpi attivi.

    Singoli batteri e aggregati microbici che si distaccano in modo continuo da un biofilm maturo, sia esso monospecie o multispecie, fungono da inoculo persistente promuovendo nell’organismo nuovi siti di colonizzazione e dando luogo alle cosiddette infezioni polimicrobiche, antibiotico-resistenti a crescita sessile, tendenti alla cronicizzazione, che spiegano poi recidività e comorbilità, per esempio tra cistiti recidivanti e vestibolite vulvare con vestibolodinia provocata.

    I biofilm patogeni tipici della vescica, invece, sono spesso caratterizzati da un ceppo di Escherichia coli uro patogeno (Uro Pathogenic Escherichia coli, UPEC), responsabile del 75-85% delle cistiti recidivanti e della formazione del biofilm intracellulare. In particolare, i ceppi di Escherichia coli che possiedono l’antigene K si tolgono il capside ed entrano nelle cellule dell’urotelio, dove formano le cosiddette “comunità batteriche intracellulari” (Intracellular Bacterial Communities, IBCs).

    I batteri intracellulari si organizzano in biofilm racchiusi in una ricca matrice polisaccaridica, circondata da un guscio protettivo di uroplachina in prossimità della superficie, dove creano rigonfiamenti simili a baccelli. I biofilm intracellulari costituiscono ancora una volta una riserva di germi poco attaccabile dagli antibiotici e dalle difese immunitarie.

    Essi provocano infiammazione cronica della parete vescicale fino a causare una “sindrome della vescica dolorosa” che può evolvere fino alla “cistite interstiziale”

    Il periodo di tempo che intercorre dalla colonizzazione da parte di cellule batteriche di E. coli UPEC dell’urotelio vescicale, con infiammazione cronica e sintomi oggi riassunti sotto la diagnosi di “sindrome della vescica dolorosa”, fino alla cistite interstiziale conclamata può richiedere fino a 5-7 anni.

    La caratteristica fisiopatologica dominante del processo di distruzione dell’epitelio nobile della parete vescicale è una persistente infiammazione  nelle sue caratteristiche fisiopatologiche principali.

    La diagnosi è fondamentalmente clinica, ed è basata sulla raccolta di sintomi ed osservazione di segni.

     

    La diagnosi è suggestiva di cistite in presenza di:

    • sensazione di peso sovrapubico ed emissione di urine torbide
    • bruciore alla minzione con aumento della frequenza minzionale

     

    E’ importante chiedere attivamente se esistano comorbilità con:

    • sintomi e disturbi gastrointestinali (stipsi ostruttiva, diarrea, sindrome dell’intestino irritabile, intolleranze alimentari, celiachia);
    • dolore ai rapporti, specie all’inizio della penetrazione (dispareunia introitale) e secchezza vaginale. In caso affermativo, chiedere se la cistite compaia entra 24-72 ore dal rapporto;
    • vestibolodinia e/o vulvodinia;
    • endometriosi;
    • diabete, specie insulinodipendente: attenzione anche alla familiarità per diabete;
    • fibromialgia, che può essere associata a mialgia del muscolo elevatore;
    • dolorabilità dell’area uretrale, trigonale e/o sovrapubica, suggestivi di un quadro infiammatorio uretro-vescicale.

    L’esame obiettivo deve valutare lo stato di trofismo della cute e delle mucose vulvari, vestibolari e vaginali, includendo la valutazione del pH vaginale (con semplice stick ambulatoriale).

    Va indagato se esista anche una “inversione del comando” muscolare: alla richiesta di spingere, la donna contrae. Questo dato, per inciso, indica la necessità di effettuare terapia riabilitativa con biofeedback elettromiografico per acquisire un corretto comando motorio.

     

    Razionale per un diverso intervento preventivo e terapeutico

    La progressione verso la cronicizzazione è più rapida e gli episodi di cistite più ravvicinati se il biofilm vescicale o vaginale non viene trattato. Oggi è evidente che la migliore terapia antibiotica a nostra disposizione è solamente in grado di risolvere un episodio acuto di cistite, mentre è completamente inefficace nella prevenzione delle infezioni uro-ginecologiche recidivanti.

    Numerose evidenze in letteratura sottolineano l’importanza e l’utilità di sostanze alternative ai comuni antibiotici per la prevenzione e il trattamento delle infezioni a carico dell’apparato urogenitale, come ad esempio: le sostanze antiadesive come il D-mannosio, i lattobacilli, l’N-Acetilcisteina, la lattoferrina, la Morinda citrifolia, il mirtillo rosso o cranberry.

    • Il D-mannosio è uno zucchero inerte (che non viene metabolizzato dal nostro organismo e viene eliminato in quanto tale), estratto dalla betulla. L’utilizzo del D-mannosio rappresenta sempre di più una strategia vincente in interventi sia di profilassi, sia di cura delle infezioni delle vie urinarie (UTI) causate da E. coli.

    L’elevata affinità del D-mannosio per le lectine di Escherichia coli, e di molti altri batteri flagellati, impedisce l’impianto del microrganismo all’epitelio vescicale e vaginale, prima tappa di cistiti interstiziali e di vaginiti aerobiche con formazione di biofilm, e facilita il distacco meccanico facilitandone l’eliminazione con il flusso urinario. Il D-mannosio favorisce anche la ristrutturazione delle mucose danneggiate, specialmente di quella vaginale, garantendo così una maggiore protezione da successivi insulti batterici.

    • N-acetilcisteina (NAC). Si tratta di un derivato N-acetilato dell’aminoacido cisteina, che da decenni viene utilizzato per la sua attività mucolitica in otorinolaringoiatria e pneumologia. Il NAC potrebbe risultare di notevole efficacia nello sciogliere i biofilm batterici, in quanto ha dimostrato un’elevata attività nell’inibire l’adesione batterica, specialmente di Staphylococcus aureus ed Escherichia coli e nel dissolvere la matrice del biofilm maturo. L’elevata attività antiossidante del NAC, la sua capacità di inibire la formazione di biofilm e di disgregare la membrana polimerica di biofilm batterici e fungini maturi, rendono i patogeni sensibili ai farmaci e agli effettori della risposta immune.
    • I probiotici : specie se veicolati con una opportuna tecnica tale da renderli compatibili con l’ecosistema vaginale residente, e con le caratteristiche chimico fisiche e microbiologiche dell’ambiente vaginale, possono determinare un valido sistema di difesa e di protezione della mucosa vaginale dall’aggressione dei microrganismi potenzialmente patogeni. Essi agiscono potenziando localmente il sistema immunitario, stimolando il reclutamento di linfociti T helper e di monociti, ed esercitano un effetto protettivo a difesa della mucosa vaginale dall’aggressione di numerosi patogeni sia mediante la produzione di biosurfattanti, sia formando un biofilm fisiologico che la riveste (Reid et al 2003).
    • Lattoferrina: è una glicoproteina che, in combinazione con lo ione ferrico, possiede interessanti proprietà nel modulare e nell’interferire con i meccanismi di adesione batterici. E’ stato dimostrato che la lattoferrina stimola il sistema immunitario adattativo, possiede attività batteriostatica, battericida, antivirale, antifungina, antinfiammatoria, e inibisce l’adesione e l’internalizzazione batterica e la formazione di biofilm patogeni (Ammons e Copié 2013).
    • Morinda citrifolia (Noni). Il crescente interesse verso i rimedi fitoterapici, in particolare nei confronti del succo del frutto della Morinda citrifolia, ha permesso di dimostrare una vasta gamma di effetti potenzialmente terapeutici attribuibili all’estratto secco del frutto: attività antibatterica, antivirale, antitumorale, analgesica, ipotensiva, antinfiammatoria, immunomodulatoria e antiossidante, che potrebbero rivelarsi un ottimo aiuto per la donna suscettibile ad infezioni ricorrenti alle vie urinarie.

    Attualmente si è anzi compreso che il bisogno di combattere batteri acidofili come Escherichia coli consiglierebbe invece l’alcalinizzazione dell’ambiente, anziché la sua acidificazione.